Dybbuk


da Yitzchak Katzenelson e An-ski


Memoria genetica e urgenza del presente. Con Dybbuk abbiamo affrontato il nodo bruciante della Shoah, trasformando il dolore di questo passaggio obbligato in materia viva e pulsante.

Lavoro che mi è difficile chiamare tale, tanto forte e profondo è stato il coinvolgimento che l’ha accompagnato, questo spettacolo-non spettacolo ha richiesto nondimeno un percorso di avvicinamento al risultato fatto di rigorose scelte espressive e drammaturgiche.

Ne indico brevemente qualcuna, rimandandovi ad altre pagine
per l’origine di questo teatro musicale e aggiungendo qualche frammento tratto dal mio “quaderno di lavoro".

Il testo e la drammaturgia

La musica e i suoni

L'immagine e il movimento

Appunti di lavoro

Il Canto del popolo ebraico massacrato, di H. Janeczek

Il Dybbuk di An-ski

Frammenti dallo spettacolo


Oltre a Dalla sabbia dal Tempo,
che ritengo indispensabile
alla comprensione di questa pagina, potete guardare per varie attinenze - ebraismo, Moni, Teatro Franco Parenti - anche


Il processo di Joseph K
Note spettinate
Famosi in tutta Europa
Ballata di fine millennio

e per un percorso tra le ombre del teatro Vanità delle vanità

uno spettacolo di Mara Cantoni e Moni Ovadia

elaborazioni e arrangiamenti musicali di
Maurizio Dehò   Alfredo Lacosegliaz   Gian Pietro Marazza


scena di Mara Cantoni   costumi di Luigi Benedetti

suono di Mauro Pagiaro    luci di Amerigo Varesi



con Moni Ovadia    Claudia Della Seta    Olek Mincer

e TheaterOrchestra
Ivan Calaminici   Gianni Cannata   Amerigo Daveri  
Maurizio Dehò   Cosimo Gallotta   Aleksandar Karlic
Alfredo Lacosegliaz   Gian Pietro Marazza   Massimo Marcer
Patrick Novara   Luca Trolese   Emilio Vallorani

produzione CRT Artificio
Sull'orlo del precipizio

C'era un motto nel campo di prigionia di Theresienstadt: vivo finchè creo e sono nella condizione di concepire cultura. Vale la pena di leggere questa frase ritrovando delle parole il significato primario, del concepire e del creare la funzione generativa. E' un tempo di macerie questo, reali o meno ch'esse siano: bisogna vigilare su ogni gesto che si compie.

Macerie. Ho osservato a lungo quelle di Berlino, ciò che di Berlino era rimasto nel '45, a lungo ho fissato il segno preciso del rogo dei libri, che nel '33 già annunciava tutta la morte che sarebbe seguita. D'un tratto la mente è corsa al Teatro Petruzzelli devastato dalle fiamme. Ho accostato immagine a immagine. Mezzo secolo di distanza ed erano la stessa cosa, la stessa ferita: un trionfo di stupidità, un'inutile desolazione. segue


Meglio dirlo subito: il Dybbuk di Moni Ovadia e Mara Cantoni non è fatto per chi crede che si debba o si possa dimenticare ciò che è successo in Europa mezzo secolo fa. O forse, invece, è fatto proprio per loro: ma come il rimorso è fatto per i colpevoli e la giustizia per gli ingiusti. (...) Sono stati cento minuti di un’emozione continua, quasi insostenibile, senza pause o lacune; poi, un trionfo.

(Giovanni Raboni,
Corriere della Sera
, 18 marzo 1995)

Raramente abbiamo assistito a un rito teatrale tanto misterioso e necessario, tanto risentito e struggente, da credere di essere finiti non fra le fascinazioni di un fantasma scenico, ma nel cuore della tragedia più lunga della Storia. (...) Il pubblico appare soggiogato, non osa applaudire neppure le scene di più struggente intensità. Soltanto alla fine prorompe in un entusiasmo irrefrenabile e liberatorio.

(Osvaldo Guerrieri,
La Stampa,
9 aprile 1995)

Si comprende subito che i confini fra rito e teatro, fra liturgia e spettacolo sono sottilissimi, quasi ineffabili e inafferrabili. (...) Fascinazione poetica e inoppugnabile documento di un processo di cancellazione sistematica. (...) Alla fine, gli spettatori sciolgono nell’applauso il nodo dell’angoscia.

(Mauro Manciotti,
Il Lavoro
, 18 gennaio 1996)

Dybbuk si propone in definitiva come il tentativo di recuperare il teatro al suo significato più originale e profondo, quello di rito personale e collettivo, incontro e testimonianza al di là del tempo.

(Dario Vassallo,
Il Giornale
, 18 gennaio 1996)

E’ difficile raccontare Dybbuk, perché non si può riferire un rito. Il rito va vissuto.

(Dante Cappelletti,
Il Tempo
, 16 novembre 1995)

A proposito di Shoah,
di scuola e di media

E a proposito di ebraismo e rappresentazione



Le fotografie del Teatro Petruzzelli
sono Ansa e R.De Benedictis/Sintesi

Le fotografie dello spettacolo
sono di Maurizio Buscarino